AREND ROELINK
The stones in the sky never worry

Opening: mercoledì 4 Dicembre alle ore 18.30

progetto di Lucia Leah Leuci
testo di Samuele Menin
 

SPAZIO E TRASFORMAZIONE

Tutti gli esseri viventi hanno la necessità di uno spazio vitale per vivere, crescere e perché no, morire..lo so, questa affermazione ad una prima lettura può apparire come una banalità ma forse troppo spesso sottovalutiamo le verità che si celano dietro al banale. La ricerca di un proprio spazio, sia fisico che mentale, è uno tra quei bisogni che accomuna tutte le forme di vita dal piccolo paguro con la sua conchiglia sulle “spalle”, al territorio di caccia per un branco di lupi, ad un nido per un pettirosso, ad una zolla di terra per una pianta e a un tetto per un essere umano. Il “proprio” spazio è poi talmente importante per cui ci si investe e dedica del tempo per decorarlo, ampliarlo e ottimizzarlo. Tutto questo perché più lo spazio è appagante e più la qualità della vita stessa in teoria migliora. Queste riflessioni o “banalità”, chiamatele come volete, mi sono nate osservando l’installazione o meglio ancora lo “spazio” qui presentato da Arend Roelink.
Lo “spazio” in tutte le sue declinazioni è, a mio giudizio, uno degli elementi di ricerca principale portato avanti dall’artista. Infatti, se dovessero capitarvi tra le mani una delle centinaia di Moleskine che usa per appuntarvi riflessioni, bozzetti, immagini di repertorio o studio, vi rendereste conto che il suo approccio alle pagine bianche e al loro “spazio” non conosce limiti di sorta o coordinate, i suoi interventi infatti si compenetrano con continuità fino a dar vita a delle mappe di segni in cui perdersi come negli edifici immaginari di Escher. Da queste pagine il passaggio a progetti come “Satellites” (2013), una serie di mini satelliti artificiali realizzati con
materiali di recupero, “T minus 15” (2013), una forma geometrica poligonale che sembra scaturire da una parete naturalmente come potrebbe fare un fungo da un albero, o ai modellini di edifici della serie “Breathing Death With Iron Lungs” (2012), non può essere che breve.
L’artista in tutti questi progetti sembra infatti volerci portare a riflettere sul nostro rapporto con lo spazio e all’importanza fondamentale che esso ha per la nostra vita e che a volte forse diamo troppo per scontato. Questo sia costruendo modellini di edifici immaginari dalle proporzioni stranianti o, come nell’opera in mostra, partendo dalle forme di uno di quei tanti spazi inutilizzati delle nostre case, in questo caso l’interstizio sotto le scale caratteristico degli ingressi di alcuni palazzi italiani degli anni Sessanta e Settanta, uno spazio di passaggio e trasformazione a cui Arend dà corpo e vita fino alle dimensioni di un modello di grande dimensioni: tre stanze connesse tra loro di cui percepiamo la presenza fisica ma a cui noi non possiamo accedere ma solo scrutare da una delle aperture. Luoghi che potrebbero essere per come sono illuminati e non “arredati”, dei classici corridoi da ufficio inanimati fino a quando dei sacchetti di plastica bianca non entrano in scena rincorrendosi, cercandosi, scontrandosi, avvolgendosi, fuggendo, scomparendo e ricomparendo fino a riuscirne definitivamente per essere sostituiti da altri, sacchetti che l’artista invita lo spettatore stesso a mettere in gioco nell’opera. I sacchetti di plastica come, spiega Roelink, sono tra gli oggetti che più spesso vengono abbandonati nell’ambiente e hanno una vita lunghissima. Da qui la sua scelta di utilizzarli. Vedendoli danzare in due, tre, quattro, cinque, sembrano la rappresentazione della vita di tutti noi, fatta a volte di incontri, avvicinamenti, allontanamenti, perdite, fughe e ritrovamenti, un continuo vorticare di persone, pensieri e riflessioni come quello di sacchetti di plastica bianca che si “perdono” in uno spazio.